Quando ero piccola molti commentavano le mie doti di scrittrice chiedendomi: perché non diventi una giornalista?
Il mio diniego era sonoro. Ero comunque una ragazzina: avevo visto un sacco di film in cui i protagonisti erano giornalisti agguerriti ed eroici, ma volevo fare l'archeologo -Indy ;) - piuttosto che il giornalista.
La cosa che più mi sorprende, guardandomi indietro, è che una delle motivazioni che mi spingevano a rifiutare solo l'idea era che lo ritenessi un mestiere scomodo per il quale avrei dovuto fare troppi compromessi e piegare la mia volontà a quella del "giornale".
Avevo 15 anni e pensavo già che il mestiere del giornalista fosse qualcosa che corrodesse gli spiriti non abbastanza forti (come mi ritengo essere).
Ho ripensato a tutto questo leggendo un articolo del redattore David Randall intitolato "Penne avvelenate. Per noi giornalisti le catastrofi del mondo sono il palcoscenico su cui recitiamo". In questo articolo egli commenta uno studio, intitolato "Depressione, alcol e sregolatezza", che dichiara come
Inoltre Randall riporta anche l'opinione della moglie che commenta come di fronte ad una tragedia la gente comune si intristisca e il giornalista si 'ecciti' di fronte alle possibilità di un nuovo pezzo.
Non credo che a quindici anni avessi in mente la perversione che questo studio evidenzia in alcuni individui ne' ritengo che i giornalisti siano dei pazzi scatenati. Tuttavia c'è del vero in quella consapevolezza adolescenziale: il giornalismo porta un carico di responsabilità molto grandi di cui spesso gli stessi giornalisti non si rendono conto e a cui spesso si piegano per il troppo peso.
http://www.internazionale.it/firme/print.php?id=19237
Il mio diniego era sonoro. Ero comunque una ragazzina: avevo visto un sacco di film in cui i protagonisti erano giornalisti agguerriti ed eroici, ma volevo fare l'archeologo -Indy ;) - piuttosto che il giornalista.
La cosa che più mi sorprende, guardandomi indietro, è che una delle motivazioni che mi spingevano a rifiutare solo l'idea era che lo ritenessi un mestiere scomodo per il quale avrei dovuto fare troppi compromessi e piegare la mia volontà a quella del "giornale".
Avevo 15 anni e pensavo già che il mestiere del giornalista fosse qualcosa che corrodesse gli spiriti non abbastanza forti (come mi ritengo essere).
Ho ripensato a tutto questo leggendo un articolo del redattore David Randall intitolato "Penne avvelenate. Per noi giornalisti le catastrofi del mondo sono il palcoscenico su cui recitiamo". In questo articolo egli commenta uno studio, intitolato "Depressione, alcol e sregolatezza", che dichiara come
metà dei 187 soggetti era affetta da depressione, crisi di ansia o disturbi bipolari; più di un terzo abusava di alcol, antidepressivi o oppiacei; circa un terzo era costituito da inguaribili dongiovanni e una buona percentuale da prepotenti, misogini o ninfomani
Inoltre Randall riporta anche l'opinione della moglie che commenta come di fronte ad una tragedia la gente comune si intristisca e il giornalista si 'ecciti' di fronte alle possibilità di un nuovo pezzo.
Non credo che a quindici anni avessi in mente la perversione che questo studio evidenzia in alcuni individui ne' ritengo che i giornalisti siano dei pazzi scatenati. Tuttavia c'è del vero in quella consapevolezza adolescenziale: il giornalismo porta un carico di responsabilità molto grandi di cui spesso gli stessi giornalisti non si rendono conto e a cui spesso si piegano per il troppo peso.
http://www.internazionale.it/firme/print.php?id=19237